CFP: Convegno AIPI 2020, sez. 12. Scienza in prosa e in versi L’italiano e la scienza tra Medioevo e Rinascimento: le vie della lingua, della letteratura, dell’arte

Coordinamento:
Lorenzo Bacchini (Johns Hopkins University), lbacchi1@jhu.edu
Francesco Brenna (Johns Hopkins University), fbrenna4@jhu.edu
Barbara Fanini (Accademia della Crusca – Università di Firenze), fanini@crusca.fi.it
Giulio Vaccaro (CNR – Opera del Vocabolario Italiano), vaccaro@ovi.cnr.it
Valerio Zanetti (University of Cambridge), vz218@cam.ac.uk

La rinascenza del XII secolo, appena prima del grande sviluppo delle tradizioni linguistiche in volgare, si concretizza con lo sviluppo in Europa di un’ampia trattatistica scientifica, i cui confini sono tutt’altro che definiti, che spazia dalla matematica alla medicina, dall’astronomia/astrologia alla stregoneria, dai manuali tecnici (dedicati per esempio all’agricoltura o all’arte della guerra) all’interpretazione dei sogni. In generale, la prima fase di circolazione scientifica in epoca medievale è la storia di un vasto processo di traduzione culturale e linguistica dei saperi: dall’arabo, dall’ebraico, dal latino (spesso anche come lingua intermedia) ai volgari italiani; questo porta alla creazione di tipologie testuali multiformi e di un lessico fluido e magmatico, che risente spesso della tipologia dei testi, della lingua (o delle lingue) di partenza, del pubblico.
Il tardo Trecento e, in seguito, a maggior ragione il periodo umanistico e rinascimentale recuperano prospettive scientifiche trascurate o poco documentate nell’epoca precedente: si ha infatti un incontro tra lo studio e il recupero dei classici operato dagli umanisti da un lato e i saperi coltivati nelle botteghe artigiane dall’altro: ciò porta a un progressivo ampliamento del ventaglio testuale (per cui ai trattati si affiancano ricettari, documenti di bottega, appunti) e un’ampiezza lessicale che si va allineando su una duplice possibilità latino/volgare, spesso in un dialettico scontro (si pensi alle traduzioni di Plinio), che prelude tuttavia a quella standardizzazione del lessico che si verificherà a partire dal Seicento.
Fino alla fine del Cinquecento proprio la labilità del confine del campo della “scienza” e l’impossibilità di distinguere nettamente singoli settori fa sì che concetti scientifici divengano elementi rappresentati e talvolta costitutivi anche all’interno di generi letterari non scientifici (l’epica, la lirica, la narrativa).
Su queste premesse, la nostra sezione intende raccogliere contributi di carattere linguistico, letterario e latamente culturale, che rispondano (per esempio, ma non esclusivamente) a domande come: cosa era considerato “scienza” nel Medioevo e quali erano le figure “professionali” (spesso “ibride”, esperte a un tempo di fusione dei metalli e di amuleti, di pompe idrauliche e di macchine a moto perpetuo) che si occupavano di scienza? Quali forme linguistiche e testuali venivano usate per ogni specifico discorso scientifico? Qual è stato il peso reciproco della mediazione linguistica e della mediazione culturale (anche con riferimento agli apparati iconografici)? In che modo la scienza medievale e rinascimentale è penetrata nella letteratura (si pensi ai casi delle macchie lunari di Dante o del teatro della memoria di Giulio Camillo)? Qual è stata l’evoluzione dell’italiano della scienza, o di una particolare branca di essa (per esempio la medicina, la matematica, l’astronomia), tra il Duecento e il Cinquecento? Qual è stato il rapporto con le lingue di partenza dei testi? Come l’italiano della scienza è stato recepito fuori d’Italia?